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Doping: la Cassazione solleva questione di legittimità costituzionale

La terza Sezione penale della Corte di Cassazione — con ordinanza n. 26326 del 21 settembre 2020 — ha sollevato, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 586-bis, comma 7, del Codice Penale, introdotto dall’articolo 2, comma 1, lett. d) del Decreto Legislativo del 1 marzo 2018, n. 21, nella parte in cui — sostituendo l’articolo 9, comma 7 della Legge del 14 dicembre 2000, n. 376, abrogato dall’art. 7 comma 1, lett. n) del medesimo Decreto Legislativo citato poc’anzi — è previsto il “fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.
Ancor prima di addentrarsi in una analisi dell’ordinanza citata, occorre effettuare una doverosa premessa; la Legge n. 376/2000 — la quale rappresenta la chiave di volta dell’ordinamento statale nella regolamentazione del fenomeno del doping — ha come scopo primario la tutela della salute della persona e, solo come scopo secondario, la tutela della regolare competizione sportiva. Questo perché, in base all’articolo 32 della Costituzione, la competenza sulla salute del cittadino è devoluta allo Stato, mentre la tutela della competizione sportiva è da ricondursi al CONI.
Detto ciò, la sopracitata Legge, definisce, nel comma 2 dell’articolo 1, il doping come “la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.
A tale fonte normativa, va inoltre affiancato l’articolo 586-bis del Codice Penale; all’interno del suddetto articolo sono state trasferite le sanzioni penali — previste in precedenza dell’articolo 9 della Legge n. 376/2000 — ad opera del Decreto Legislativo n. 21/2018.
Entrando nel merito della vicenda, la Suprema Corte di Cassazione ha evidenziato che il trasferimento delle disposizioni già contenute nel comma 7 dell’articolo 9 della Legge n. 376/2000 nell’articolo 586-bis, comma 7, del Codice Penale non osserva una piena coincidenza; infatti — si legge nell’ordinanza — “a differenza della precedente figura delittuosa, contempla il dolo specifico del “fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”, prevedendo, in alternativa (ipotesi che qui non rileva), la condotta di commercio di sostanze idonee a modificare i risultati dei controlli anti-doping, che vengono assimilati alle sostanze dopanti…”. La fattispecie oggi contemplata dall’articolo 586- bis “non incrimina più la commercializzazione tout court di sostanze dopanti, come avveniva in relazione all’abrogato art. 9, comma 7, I. n. 376 del 2000, ma solo quella i cui l’agente si prefigge lo scopo “di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”, indipendentemente dall’effettivo conseguimento di tale finalità…”.
Ciò che emerge è che non essendo più punito il commercio di sostanze dopanti in assenza del fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, vi sia stata una parziale abolitio criminis, che “non trova riscontro nella delega conferita al Governo dall’art. 1, comma 85, lett. q), I. 23 giugno 2017, n. 103…”. Invero — prosegue la Suprema Corte — “tale disposizione autorizzava l’attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’effettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l’intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai principi costituzionali, attraverso l’inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in particolare i valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini di profitto della persona medesima, e i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico”.
L’abolitio criminis menzionata, quindi, deriverebbe da un uso scorretto della delega conferita al Governo, il quale ha operato, in maniera impropria, un’aggiunta del dolo specifico alla figura delittuosa de quo. Inoltre, l’indicata abolitio criminis “risulta anche in contrasto con la ratio della Legge delega”.
In conclusione, a parere del Collegio, il bene salute, oggetto di tutela da parte dell’articolo 586-bis del Codice Penale, “è messo in pericolo dalla mera assunzione di “sostanze dopanti”: e ciò indipendentemente dal “fine di alterare le competizioni agonistiche degli atleti””. La norma in esame, infatti, renderebbe lecito il commercio di sostanze dopanti destinato a sportivi che non gareggino in competizioni agonistiche, la cui salute verrebbe comunque posta in grave pericolo.
Dott. Mario Piroli
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