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Il fenomeno del doping tra rilevanza sportiva e penale


In termini generali, è definibile come doping la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e vietate dai regolamenti, nonché l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche, idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti.


Ai fini dell’esatta individuazione della definizione di doping, è inoltre necessario osservare come nell’ordinamento italiano il fenomeno del doping sia disciplinato da una normativa a c.d. doppio binario: da un lato si ha infatti la disciplina sportiva, dall’altro lato quella statale. Ciascuna normativa persegue esigenze e scopi differenti, pertanto anche la definizione di doping acquista nei 2 ordinamenti — quello sportivo e quello statale — una differente connotazione e funzione.


Iniziando l’analisi dall’ordinamento sportivo è bene precisare che il doping viene disciplinato sia da norme interne che da norme di rango internazionale. Sul piano internazionale la grundnorm è rappresentata dal Codice Mondiale Antidoping (d’ora in avanti Codice o Codice WADA) adottato dalla World Antidoping Agency (WADA); si tratta di un Codice che mira, anzitutto, a tutelare il diritto fondamentale degli atleti alla pratica sportiva libera dal doping e, pertanto, un Codice che promuove la salute, la lealtà e l’uguaglianza di tutti gli atleti del mondo. Allo stesso modo, il Codice garantisce l’applicazione di normative e programmi antidoping armonizzati tra i vari Paesi, affinché tali programmi e normative siano ordinati ed efficaci sia a livello mondiale che nazionale, al fine di contrastare nel miglior modo possibile la pratica del doping. D’altronde, il punto di forza del Codice risiede proprio in quanto appena esposto, è infatti la necessità di superare quella frammentazione normativa dei vari Paesi che ha ispirato il legislatore internazionale. Tutte le disposizioni contenute nel Codice de quo sono sostanzialmente obbligatorie e devono essere pertanto rispettate dagli atleti, ma soprattuto dai firmatari (tra i firmatari, a titolo puramente esemplificativo, troviamo la WADA, il CIO, le Federazioni Internazionali, Comitati Olimpici Nazionali, ecc.), i quali sono tenuti a definire norme e procedure interne affinché tutti gli atleti od organizzazioni sportive sotto la loro autorità, siano consapevoli ed accettino di essere vincolati al Codice. Per quanto concerne il nostro Paese, il d.lgs. n. 15/2004 ha provveduto ad attribuire al CONI la soggezione alla deliberazione ed agli indirizzi degli organismi sportivi internazionali; ciò, va tuttavia integrato con la costituzione della NADO (Organizzazione Nazionale Antidoping) Italia, la quale — dal 2015 — è andata a sostituirsi alle precedenti funzioni assegnate al CONI.


Ciò detto, al Codice si affiancano degli Standard Internazionali, i quali rappresentano degli strumenti regolatori di carattere puramente tecnico, volti a disciplinare — in maniera uniforme — varie procedure nell’ambito del doping:

  1. La lista delle sostanze e dei metodi proibiti;

  2. I controlli e le investigazioni (indagini);

  3. I laboratori;

  4. L’esenzione ai fini terapeutici;

  5. La protezione dei dati personali.


Sul fronte nazionale, in applicazione del Codice Mondiale Antidoping, la NADO Italia adotta il Codice Sportivo Antidoping (CSA), con lo scopo di perseguire l’impegno a contrastare il doping nello sport in Italia. Ratio del CSA è quella di proteggere la salute degli atleti, nonché di fornire l’opportunità agli atleti di perseguire l’eccellenza senza l’utilizzo di sostanze e metodi proibitivi. Tutte le norme contenute nel CSA sono volte a tutelare l’integrità dello sport, intesa come rispetto delle regole, rispetto degli avversi, lealtà ed eguaglianza nelle competizioni. Il CSA, assieme alla Procedura di Gestione dei Risultati (PGR) ed al Documento Tecnico per i Controlli e le Investigazioni costituiscono le Norme Sportive Antidoping (NSA); quest’ultime disciplinano la materia dell’antidoping e le condizioni cui attenersi nella pratica dell’attività sportiva nel sistema sportivo italiano.


Coerentemente con quanto si illustrava ad inizio trattazione, volendo tornare sulla definizione di doping, al lume di quanto supra esposto, le normative sportive — a prescindere dalla loro natura interna o internazionale — hanno come primario obiettivo la sana e leale competizione sportiva; pertanto, la definizione di doping che si ricava è che per doping debba intendersi la violazione di una o più norme contenute nelle fonti sopra esaminate. A tal proposito, l’art. 1 del CSA, rubricato “definizione di doping”, statuisce che “Per doping si intende la violazione di una o più norme contenute negli articoli dal 2.1 al 2.11. Altre violazioni delle NSA sono stabilite all’articolo 3”. In maniera analoga, il Codice WADA, definisce il doping come “as the occurrence of one or more of the anti- doping rule violations set forth in Article 2.1 through Article 2.11 of the Code”.


Veniamo ora ad enunciare i casi che costituiscono violazioni della normativa sportiva antidoping. A norma dell’art. 2 CSA (a cui si rimanda per una integrale lettura dei singoli casi), costituiscono violazioni:

  • La presenza di una sostanza proibita, e cioè presente nella lista delle sostanze proibite, o dei suoi metaboliti o markers nel campione biologico di un atleta;

  • L’uso o tentato uso da parte di una sostanza o di un metodo proibiti;

  • L’elusione, il rifiuto o la mancata presentazione da parte dell’atleta a sottoporsi al prelievo del campione biologico;

  • Il mancato adempimento dei whereabouts da parte di un atleta;

  • La manomissione o tentata manomissione di qualsiasi parte del controllo antidoping da parte di un atleta o di altra persona;

  • Il possesso di una sostanza o di un metodo proibiti da parte di un atleta o di persona di supporto dell’atleta;

  • Il traffico illegale o tentato traffico illegale, da parte di un atleta o altra persona di sostanze o metodi proibiti;

  • La somministrazione o tentata somministrazione da parte di un atleta o di altra persona a qualsiasi atleta durante le competizioni, di una qualsiasi sostanza vietata o metodo proibito, oppure somministrazione o tentata somministrazione ad un atleta, fuori competizione, di una sostanza o di un metodo che siano proibiti fuori competizione;

  • La complicità o tentata complicità da parte di un atleta o altra persona nel violare le NSA;

  • Il divieto di associazione da parte di un atleta o altra persona;

  • Gli atti di un atleta o di altra persona per scoraggiare o contrastare la segnalazione alle autorità;

  • La mancata collaborazione da parte di qualsiasi individuo per garantire il rispetto delle NSA, compresa la mancata segnalazione di circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento di reati di doping;

  • Qualsiasi comportamento offensivo nei confronti del DCO (Doping Control Officer) e/o del personale addetto al controllo antidoping.


Le sanzioni nel caso in cui venisse accertata una delle fattispecie appena descritte possono essere di vario genere. Nel caso in cui debbano sanzionarsi soggetti tesserati, negli sport individuali, una violazione delle norme antidoping in relazione ad un controllo in gara porta automaticamente alla squalifica del risultato ottenuto in quella competizione con tutte le conseguenze che ne derivano, incluso il ritiro di eventuali medaglie, punti e premi. Allo stesso modo un tesserato potrà essere squalificato, sino ad arrivare ad una squalifica a vita nel caso in cui il tesserato in questione abbia violato tre volte la normativa antidoping negli ultimi dieci anni. Ai non tesserati, invece, potrà essere irrogata la sanzione dell’inibizione a tesserarsi e/o a a rivestire in futuro cariche o incarichi presso il CONI, le Federazioni Sportive Nazionali, le Discipline Sportive Associate o gli Enti di Promozione Sportiva, ovvero a frequentare in Italia gli impianti sportivi, gli spazi destinati agli Atleti ed al personale addetto, a prendere parte alle manifestazioni o ad eventi sportivi che si svolgono sul territorio nazionale o sono organizzati dai predetti enti sportivi, per tutta la durata del periodo di squalifica corrispondente alla violazione commessa. Per le squadre, a norma dell’art. 12 CSA: “Nel caso in cui, a più di un (1) membro di una squadra di uno Sport di squadra sia stata notificata una violazione della normativa antidoping in relazione ad un evento sportivo, l’Organizzazione che ha giurisdizione sull’Evento dovrà svolgere sulla squadra controlli antidoping mirati durante l’Evento stesso. Se più di due (2) membri di una squadra in uno sport di squadra hanno commesso una violazione della normativa antidoping nel corso di un Evento, l’Organizzazione che ha giurisdizione sull’Evento dovrà comminare alla squadra una sanzione adeguata (ad es. perdita di punti, squalifica da una competizione o da un Evento, o altra sanzione) in aggiunta alle eventuali sanzioni inflitte al/ai singolo/i Atleta/i che ha/hanno commesso la violazione della normativa antidoping”. Da ultimo, è bene rammentare che, oltre a tali sanzioni, l’organo competente ad emanare la sanzione potrà condannare la parte soccombente al pagamento di sanzioni economiche — le quali costituiscono una pena accessoria alla sanzione della squalifica e, pertanto, non costituiscono valida motivazione per una riduzione della squalifica stessa o di qualsiasi altra sanzione teoricamente applicabile ai sensi del CSA — nonché al rimborso delle spese ed oneri processuali.


Passiamo ora ad esaminare l’impostazione dell’ordinamento statale nei confronti del doping. La disciplina penale in materia di doping era originariamente prevista dall’art. 9 della legge n. 376/2000. Ad oggi è stata inserita nel codice penale, all’art. 586 bis, a seguito delle modifiche appurate in ossequio al d.lgs. n. 21/2018. L’art. 586 bis c.p. è una norma a più fattispecie, in quanto contempla le condotte di autodoping, eterodoping — e le sanziona con una pena della reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645 — e commercio non autorizzato — che viene sanzionato con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 5.164 a euro 77.468 — di sostanze dopanti (tale ultima condotta è stata di recente oggetto di trattazione da parte della Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato una parziale illegittimità costituzionale della norma. Si rimanda al seguente articolo per approfondire: "Doping: dichiarato parzialmente incostituzionale il commercio di sostanze"). La prima delle ipotesi enunclate è qualificabile come un reato proprio, potendo essere posto in essere esclusivamente da atleti impegnati in competizioni agonistiche; le restanti ipotesi, invece, configurano dei reati comuni.


Analizziamo ora le singole condotte:

  1. L’autodoping consiste nell’adozione di sostanze dopanti ovvero nella sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche e idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero a modificare i risultati dei controlli sull’uso di tali farmaci o sostanze;

  2. Le condotte di eterodoping si scindono nel procurare, somministrare o nel favorire l’utilizzo di sostanze dopanti. Più nello specifico, per procurare s’intende qualsiasi attività diretta a far acquisire ad altri la materiale disponibilità dei prodotti vietati. Col termine somministrare, invece, si fa riferimento a qualsiasi forma di consegna e distribuzione delle sostanze dopanti al fine di consentirne un utilizzo immediato da parte dell’assuntore. Infine, con il favorire l’utilizzo si intende ricomprendere ogni altra condotta, di natura materiale o psicologica, idonea a facilitare il ricordo al doping;

  3. Il commercio non autorizzato di farmaci o sostanze dopanti, incrimina la cessione di farmaci e sostanze proibite, compresi nelle classi ministeriali, al di fuori dei canali ufficiali di vendita, rappresentati da farmacie ed altre strutture autorizzate.


Il terzo comma della norma in questione prevede poi delle circostanze aggravanti. La pena è infatti aumentata se dal fatto deriva un danno per la salute; se l’illecito è commesso nei confronti di un minorenne; se l’illecito è commesso da un componente o da un dipendente del Comitato olimpico nazionale italiano ovvero di una federazione sportiva nazionale, di una società, di un'associazione o di un ente riconosciuti dal Comitato olimpico nazionale italiano (in tal caso, in aggiunta alla condanna consegue l'interdizione permanente dagli uffici direttivi del Comitato olimpico nazionale italiano, delle federazioni sportive nazionali, società, associazioni ed enti di promozione riconosciuti dal Comitato olimpico nazionale italiano). La norma prevede altresì un’ipotesi di confisca obbligatoria dei farmaci, delle sostanze farmaceutiche e delle altre cose servite o destinate a commettere il reato.


Concludendo, se — come si è in precedenza accennato — le normative sportive pongono in primo piano la tutela dell’integrità delle competizioni, la legge penale italiana pone in primo piano la tutela della salute della persona e soltanto in secondo piano l’integrità della competizione sportiva. Ciò non deve tuttavia destare alcuno stupore, in quanto, come noto, l’art. 32 della Costituzione devolve allo Stato la competenza sulla salute del cittadino; viceversa, lo Stato devolve al CONI la competenza sulla verifica della leale e sana competizione sportiva.


Dott. Mario Piroli


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