Sports Lex
La scriminante del rischio consentito nello sport
Aggiornamento: 14 nov 2020

Nel contesto sportivo esistono una molteplicità di discipline; molte di esse, possono comportare anche dei rischi per l’incolumità fisica di coloro che le praticano e, in alcuni casi, anche nei confronti di terzi. Nell’approfondimento di oggi si cercherà di comprendere in quali casi un c.d. fallo di gioco può far scaturire una responsabilità penale a carico di chi lo ha commesso.
Anzitutto, occorre considerare che le attività sportive possono essere suddivise in tre categorie: 1) Sport senza contatto (ad es. il tennis);
2) Sport con contatto ma con violenza esclusa (ad es. il calcio);
3) Sport con contatto e con violenza consentita (ad es. il pugilato).
Particolari problematiche giuridiche sorgono principalmente per quanto riguarda le attività sportive di contatto, poiché, in esse risulta impossibile eliminare del tutto eventuali eventi lesivi. L’orientamento giurisprudenziale ad oggi consolidato è quello secondo cui lo svolgimento di attività sportive pericolose è da considerarsi lecito, in ogni caso però, i partecipanti accettano il c.d. rischio consentito derivante dallo svolgimento dell’attività sportiva. Va tuttavia specificato che “la condotta produttiva dell’evento deve essere connessa all’esercizio di un’attività sportiva in svolgimento, essendo azione finalisticamente inserita nello svolgimento di una gara” (Cass., sez. I, 20 novembre 1973).
Orbene, posto dunque che le attività sportive violente o pericolose sono da considerarsi lecite per l’ordinamento statale, malgrado tutti i rischi che esse comportano, occorre stabilire quando un eventuale fallo di gioco possa integrare i reati di percosse, lesioni e violenza privata. La prima distinzione da fare concerne le eventuali condotte violente avulse dalla competizione sportiva e condotte violente inserite nel contesto agonistico. Le prime, sono senza dubbio perseguibili secondo i generali principi in tema di responsabilità penale, con la conseguente applicazione delle norme del codice penale. Nei casi in cui, invece, si hanno delle condotte violente durante l’attività sportiva è necessario subito tener presente che il discrimine tra condotte lesive lecite e condotte lesive colpose deve essere individuato caso per caso, tenendo conto delle specificità del singolo caso. In linea generale, alla luce anche della giurisprudenza, il rischio per un’atleta di rispondere del delitto di lesioni personali volontarie scaturite da una condotta tenuta nel corso di un’attività sportiva, è da ritenersi circoscritto agli episodi di violenza gratuita. Per meglio comprendere si pensi ad esempio in casi in cui un’atleta sferri un colpo ad un’altro atleta lontano dall’azione di gioco, o comunque tutti i casi in cui la condotta violenta non ha relazione con l’azione di gioco. Ulteriore precisazione va infine effettuata sugli sport di contatto e con violenza consentita (o meglio, necessaria). In questi sport è principio unanimemente condiviso sia in dottrina che in giurisprudenza che “sono da ritenersi lecite le lesioni prodotte nello stretto esercizio e nei limiti dell’attività sportiva e chi si possa rispondere di lesioni cagionate nella violazione colposa di tali limiti” (Frattarolo V., L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, Milano, 1995).
Particolarmente interessante sul tema risulta essere una sentenza della IV sez. penale della Corte di Cassazione dell’8 marzo 2016 (n. 9559). Nel caso in specie, un calciatore, impossessatosi del pallone da gioco, aveva dato via ad un veloce contropiede, spingendo davanti a sé il pallone, con l’intento di andare in goal. Un calciatore avversario, con eccessiva violenza, sferrava un calcio alla gamba del calciatore, causandogli gravi lesioni alla tibia. La Corte, con tale sentenza ha sostanzialmente confermato quanto esposto in precedenza ed ha confermato l’opinione comune secondo la quale le condotte lesive, causate nel corso di attività sportive e nel rispetto delle regole del gioco, restano scriminate per l’operare dell’accettazione del rischio consentito. Tuttavia, l’operatività della scriminante sportiva è da escludersi, quando: a) Vi sia assenza di collegamento funzionale tra l’evento lesivo e la competizione sportiva; b) La violenza esercitata risulti sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco e alla natura e alla rilevanza dello stesso;
c) La finalità lesiva costituisca spinta all’azione, anche ove non sia correlata da alcuna violazione delle regole del gioco.
Si esclude, invece, l'antigiuridicità del fatto e quindi l'obbligo del risarcimento allorquando:
a) Si tratti di atto posto in essere senza volontà lesiva e nel rispetto del regolamento e l'evento di danno sia la conseguenza della natura stessa dell'attività sportiva, che importa contatto fisico;
b) Pur in presenza di una violazione della norma regolamentare, debba constatarsi assenza della volontà di ledere l'avversario e il finalismo dell'azione correlato all'attività sportiva. La Corte ha evidenziato, inoltre, che “il rischio consentito non è misurabile in astratto. Il perimetro di esso è la risultante di un attento vaglio del caso concreto … Esso è proporzionale alle caratteristiche e al rilievo della competizione”. In conclusione, nel caso in specie, la condotta lesiva è scaturita da un frangente di gioco particolarmente intenso ed agonistico (minuti di recupero di una partita di calcio del campionato di Eccellenza) con la conseguenza che il fallo di gioco era manifestamente indirizzato ad interrompere l’azione di contropiede della squadra avversaria. Pertanto la condotta del calciatore viene ritenuta dalla Cassazione meritevole di censura solo nell’ordinamento sportivo “… ma certamente non sconfina nel perimetro coperto dalla scriminante sportiva …”. Il fatto, quindi, non costituisce reato.
Dott. Mario Piroli
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